Negli ultimi anni, il CLIL (Content and Language Integrated Learning) si è affermato come una delle metodologie più innovative e promettenti nel panorama scolastico italiano. Nato in ambito europeo con l’obiettivo di promuovere il multilinguismo e preparare gli studenti a un contesto sempre più internazionale, il CLIL propone l’insegnamento di contenuti disciplinari attraverso una lingua straniera, unendo apprendimento linguistico e disciplinare in un unico percorso integrato.
Non si tratta semplicemente di una tecnica didattica, ma di un vero e proprio cambio di mentalità. Come ha affermato David Marsh, uno dei principali teorici del CLIL, “non è solo un metodo, ma una visione che stimola un apprendimento più profondo e una maggiore consapevolezza culturale”. In questo senso, il CLIL rappresenta una sfida affascinante per la scuola italiana, ma anche un’opportunità concreta per innovare le pratiche didattiche e avvicinare gli studenti a una dimensione europea e globale.
L’applicazione del CLIL nelle scuole italiane varia a seconda del livello scolastico. Nella scuola primaria, l’approccio è prevalentemente ludico e creativo, con attività che stimolano la curiosità e l’interesse per la lingua straniera in modo naturale e coinvolgente. Nella scuola secondaria, invece, l’insegnamento assume forme più strutturate e complesse, con l’introduzione di contenuti disciplinari insegnati in lingua, favorendo così una reale immersione linguistica.
Dal punto di vista normativo, il CLIL è stato formalmente introdotto con il DPR 89/2010, che prevede l’insegnamento di una disciplina non linguistica in lingua straniera nell’ultimo anno dei licei e degli istituti tecnici. Nei licei linguistici, l’approccio CLIL entra in gioco già dal terzo anno, con l’aggiunta di una seconda lingua dal quarto. Tuttavia, se da un lato il quadro legislativo ha dato impulso all’espansione del CLIL, dall’altro ha anche messo in luce una serie di criticità strutturali che ne ostacolano la piena attuazione.
Una delle difficoltà principali è rappresentata dal livello di competenza linguistica dei docenti di disciplina (DNL), spesso non adeguato per l’insegnamento in lingua straniera. A questo si aggiunge la carenza di materiali didattici autentici, pensati per il contesto scolastico italiano, e la scarsità di percorsi di formazione metodologica specifica. Come sottolinea l’esperta Letizia Cinganotto, “implementare il CLIL richiede non solo una padronanza linguistica elevata, ma anche un cambiamento nell’approccio pedagogico”.
In questo scenario, la tecnologia può rappresentare un alleato strategico. Piattaforme come Google Classroom, Microsoft Teams e Moodle offrono strumenti utili per la gestione delle lezioni CLIL, dalla condivisione di materiali multilingue alla valutazione personalizzata, fino alla collaborazione asincrona tra studenti. L’uso di risorse multimediali, gamification, realtà aumentata e realtà virtuale può rendere l’esperienza CLIL ancora più immersiva e stimolante, soprattutto per le nuove generazioni.
Guardando al futuro, il CLIL ha tutte le potenzialità per diventare un elemento strutturale dell’istruzione italiana. Perché ciò accada, sarà però necessario investire con decisione nella formazione continua dei docenti, garantire un’integrazione più coerente nei curricoli scolastici e assicurare un reale supporto istituzionale. Non si tratta solo di insegnare in un’altra lingua, ma di preparare gli studenti a vivere, comunicare e collaborare in un mondo sempre più interconnesso. Come ricorda Michael Byram, esperto di educazione interculturale, “il futuro dell’istruzione consiste nel preparare gli studenti a un mondo globalizzato, e il CLIL svolge un ruolo chiave in questa preparazione”.


